Circolare esplicativa per l’applicazione del Decreto Ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264: le principali evidenze

Il Ministero dell’Ambiente ha emanato una nota per l’applicazione del proprio DM 13 ottobre 2016, n. 264 con il quale venivano formalizzati i criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. Vediamo le principali evidenze che emergono dalla Circolare Ambiente del 30 Maggio 2017.

Le premesse

Con DM n. 264/16 (pubblicato in Gazzetta ufficiale il successivo 15 febbraio 2017) il Ministero dell’Ambiente ha predisposto una serie di “criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”.

In realtà lo stesso ha ritenuto necessario, alla luce dei molteplici quesiti pervenuti inerenti i diversi profili interpretativi ed operativi, dover fornire opportuni chiarimenti, tali da rendere uniforme l’applicazione ed una univoca la lettura del provvedimento, con l’emanazione di una Circolare esplicativa per l’applicazione del suddetto Atto lo scorso 30 Maggio, “stante l’oggettiva complessità della disciplina, di origine interna ed europea, concernente l’utilizzazione dei sottoprodotti, e l’assenza di prassi interpretative lungamente consolidate, per una migliore applicazione del Decreto”.

Lo stesso documento viene integrato al suo interno da un Allegato tecnico-giuridico, qualificato come parte dello stesso, utile fornire alcuni chiarimenti interpretativi.

Il contenuto

Il Ministero stesso evidenzia come il Regolamento n. 264 non innovi in alcun modo la disciplina del settore. Pertanto, se un residuo debba essere considerato come sottoprodotto o meno dipende, dunque, esclusivamente dalla sussistenza delle condizioni di legge di cui all’art. 184-bis, c.1 del D. Lgs. n. 152/2006 (c.d. “Testo Unico Ambientale”, o “TUA”), riportate in nota[1].

Allo stesso modo, il Regolamento non contiene né:

  • un “elenco” di materiali senz’altro qualificabili alla stregua di sottoprodotti;
  • un elenco di trattamenti ammessi sui medesimi in quanto senz’altro costituenti “normale pratica industriale”,

poiché viene, comunque, rimessa la valutazione del rispetto dei criteri indicati ad una analisi caso per caso, come anche precisato nell’articolo 1, comma 2 del Regolamento, ai sensi del quale “i requisiti e le condizioni richiesti per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle circostanze”.

Le modalità di prova circa natura di sottoprodotto

Il DM non richiede obbligatoriamente di applicare strumenti di prova per dimostrare la sussistenza delle suddette condizioni per la qualifica di “sottoprodotto (le disposizioni del Decreto sono infatti esplicite nell’escludere l’effetto vincolante del sistema ivi disciplinato, precisando che le modalità di prova nello stesso indicate non vanno in alcun modo intese come esclusive). Però, qualora il Regolamento:

  • contenga elementi di chiarimento sull’applicazione di vigenti disposizioni normative a carattere cogente, tali previsioni devono ritenersi vincolanti (in altri termini l’atto prescrive di applicare le modalità di prova nello stesso indicate);
  • viceversa, non contenga tali elementi, l’operatore è libero di scegliere mezzi di prova individuati in autonomia, e diversi da quelli previsti dal Regolamento[2].

Pertanto si può concludere che l’utilizzazione degli strumenti probatori riportati nel Decreto rimane frutto di una adesione volontaria e non può in alcun modo essere considerata condizione necessaria per il legittimo svolgimento di una attività di gestione di sottoprodotti, per l’autorizzazione della quale non potrà mai richiedersi l’obbligatoria adesione alle procedure e agli strumenti disciplinati dal Regolamento[3].

La valutazione dei requisiti e delle condizioni ai fini dell’esclusione del residuo dalla nozione di sottoprodotto

Invece, in merito ai requisiti ed alle condizioni che è necessario soddisfare per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti e trattarlo come sottoprodotto (si rinvia il Lettore, all’Allegato tecnico-giuridico, per una analisi più approfondita), la Circolare puntualizza che essi:

  • devono essere valutati ed accertati alla luce del complesso delle circostanze;
  • devono essere soddisfatti in tutte le fasi della gestione dei residui, dalla produzione all’impiego nello stesso processo, o in uno successivo.

Il possesso dei requisiti da parte del residuo deve essere immediato

Il Ministero offre una precisazione fondamentale circa la qualità di sottoprodotto assunta dal residuo: essa non potrà mai essere acquisita in un tempo successivo alla sua generazione, non potendo un materiale inizialmente qualificato come rifiuto poi divenire sottoprodotto; in altri termini, il possesso dei requisiti deve sussistere, dunque, sin dal momento in cui il residuo viene generato[4].

Gli strumenti di prova: le precisazioni offerte dalla Circolare sulla c.d. “scheda tecnica”

Tutto ciò premesso, quali sono gli strumenti di prova che l’Operatore può (e non deve, come sopra chiarito) applicare affinché un residuo venga considerato come sottoprodotto?

Essi consistono nella “documentazione contrattuale” e nella c.d. “scheda tecnica”, la vera novità introdotta dal DM n. 264/16.

La prima contribuisce soprattutto alla dimostrazione della sussistenza del requisito della certezza dell’utilizzo.

La possibilità di fornire la prova della sussistenza anche degli altri requisiti tramite la documentazione indicata è invece condizionata dallo specifico contenuto della stessa: infatti, con la Circolare, il Ministero precisa che “una adeguata compilazione della scheda tecnica [non obbligatoria, ma facoltativa], consente agli operatori di fornire la dimostrazione della sussistenza di tutti i requisiti richiesti. Di tale strumento, quindi, ben potrebbe giovarsi anche l’operatore che disponga di una documentazione contrattuale. La scheda tecnica rappresenta, dunque, un elemento di ausilio sotto il profilo probatorio per coloro che intendano avvalersi delle procedure previste dal Regolamento”.

Si sottolinea che, in relazione alle diverse fattispecie di residuo oggetto di prova, alcune delle parti indicate dalla scheda tecnica potrebbero non risultare compilabili se non in fasi successive a quelle della produzione del residuo[5]: nel caso l’Operatore intenda avvalersi di tale strumento probatorio, alcuni suoi campi “devono essere necessariamente e soddisfacentemente riempiti”[6]. Si noti peraltro che, in talune circostanze, la dimostrazione della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 184-bis, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 richiederà una compilazione della scheda tecnica effettuata con riferimento a specifici lotti di residuo, caratterizzati da unitarietà sotto il profilo funzionale e della destinazione.

Per chiarimenti in merito, la Circolare rinvia all’Allegato tecnico-giuridico[7], dove viene riportata una tabella rappresentativa del quadro appena illustrato e dove vengono contenute indicazioni su:

  • le biomasse residuali destinate all’impiego a fini energetici;
  • i trattamenti che, alle condizioni descritte, possono rientrare nella normale pratica industriale;
  • la specificazione di quali materiali, tra quelli prevalentemente elencati nella normativa di finanziamento alle fonti di energia rinnovabile, possono essere usate come biomasse combustibili, in quanto disciplinate dall’Allegato X alla Parte V del d. lgs. n. 152 del 2006 o dall’articolo 2-bis del decreto legge n. 171/2008.

Dovranno altresì essere indicate tutte le informazioni sulle caratteristiche del sottoprodotto e sulla conformità dello stesso rispetto all’impiego previsto, sotto il profilo sia tecnico che del rispetto dei requisiti e dei parametri stabiliti da norme di settore, laddove esistenti.

Infine, in caso di cessione del sottoprodotto, deve essere compilata la “Dichiarazione di conformità”, per assicurare la conformità dello stesso ai requisiti richiesti dalla legge ed alla scheda tecnica, della quale è necessario indicare gli estremi di riferimento.

La vidimazione delle schede tecniche

Ammettendo che l’operatore intenda avvalersi delle schede tecniche ai fini probatori sopra esposti, queste vanno vidimate presso la Camera di commercio territorialmente competente, con le medesime modalità adottate per i registri di carico e scarico.  Ai fini della vidimazione le schede tecniche dovranno peraltro contenere solamente:

  • i dati anagrafici dell’impresa;
  • i riferimenti dell’impianto di produzione, limitatamente alle informazioni su indirizzo, autorizzazione/ente rilasciante, data di rilascio dell’autorizzazione.

Il deposito del sottoprodotto.

Interessante inoltre la precisazione offerta dalla Circolare circa le condizioni alle quali deve avvenire il deposito del sottoprodotto.

La sua gestione e movimentazione, ovvero le fasi che vanno dalla produzione fino all’impiego del medesimo, devono essere realizzate in modo da assicurare:

  • l’assenza di rischi ambientali o sanitari;
  • il mantenimento delle caratteristiche necessarie a consentirne l’impiego.

In tal senso “deve essere sempre garantita la congruità delle tempistiche e delle modalità di gestione, che devono essere funzionali all’utilizzo dei materiali nel periodo più idoneo allo stesso e non devono incidere negativamente sulla qualità e funzionalità dei materiali medesimi ai fini dello specifico impiego previsto”.

Cosa avviene nel caso in cui venga superato il tempo massimo consentito per il deposito del Sottoprodotto?

Precisando la Circolare che la scheda tecnica deve indicare, tra l’altro, il tempo massimo previsto per il deposito, decorso il quale si presume che possano essere pregiudicate le caratteristiche merceologiche o di funzionalità necessarie per l’impiego previsto, si aprono due possibilità:

  • viene oltrepassato il tempo massimo di deposito indicato nella scheda tecnica per il deposito senza che la sostanza o l’oggetto sia stato utilizzato: il residuo perde la qualifica di sottoprodotto e dal giorno successivo alla scadenza del termine massimo esso deve essere gestito come rifiuto;
  • viene oltrepassato il suddetto limite, ma, permanendo le caratteristiche per poter essere qualificato come sottoprodotto, eventualmente destinato ad un impiego differente da quello in origine previsto, è possibile compilare una nuova scheda tecnica, per cui il residuo mantiene lo status di sottoprodotto.

Con riferimento alla fase di trasporto, il decreto non contempla documentazione diversa da quella ordinariamente impiegata per il trasporto delle merci.

Le precisazioni offerte sulla piattaforma di domanda e di offerta

Con l’art. 10 del DM 264/16 (recante “piattaforma di scambio tra domanda e offerta”), la Circolare precisa che il Legislatore non introduce affatto un requisito abilitante per i produttori e gli utilizzatori di sottoprodotti, bensì “la realizzazione di un elenco contenente le generalità degli operatori interessati a cedere o acquistare residui produttivi da impiegare, utilmente e legalmente, nell’ambito della propria attività, con finalità conoscitiva e di mera facilitazione degli scambi”.

La qualifica di un materiale come sottoprodotto, dunque non quale rifiuto, prescinde dalla iscrizione del produttore o dell’utilizzatore nel suddetto elenco, essendo di carattere oggettivo e legata alla dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dall’articolo 184-bis del d. lgs. n. 152 del 2006.

Pertanto, l’iscrizione in tale elenco, da parte del produttore oppure dell’utilizzatore, non è condizione sufficiente a qualificare un residuo come sottoprodotto e, d’altra parte, la mancata iscrizione non comporta l’immediata inclusione del residuo nel novero dei rifiuti.

[1] Con esso si prescrive che, al fine di considerare i residui dei processi produttivi sottoprodotti anziché rifiuti, è necessario dimostrare la sussistenza delle seguenti condizioni: “a) «la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante ed il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto»; b) «è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi»; c) «la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale»; d) «l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana»”.

[2] In tal senso è possibile provare la natura di sottoprodotto, ovvero dei requisiti di cui sopra, con ogni mezzo e con riferimento a materiali o sostanze diversi da quelli espressamente disciplinati negli allegati, anche mantenendo i sistemi e le procedure aziendali adottati prima dell’entrata in vigore del Decreto o scegliendone di diversi, ferma restando la vincolante applicazione delle pertinenti norme di settore.

[3] Come specificato dalla medesima Circolare “[..] il Decreto in oggetto è stato pensato dall’Amministrazione, in attuazione dell’art. 184-bis, comma 2, come strumento a disposizione di tutti i soggetti interessati (operatori, altre Amministrazioni, organi di controllo, etc.) per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente per la qualifica di un residuo di produzione come sottoprodotto anziché come rifiuto. La sua finalità non è, dunque, quella di irrigidire la normativa sostanziale del settore, quanto, piuttosto, quella di consentire una più sicura applicazione di quella vigente”.

[4] Proprio perché il settore è complesso e non esiste una radicata e consolidata pratica amministrativa la Circolare evidenzia come potrebbero non essere sempre chiari gli aspetti su cui fornire una “prestazione di certezza” al fine di raggiungere la prova della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, e quindi assume che lo scopo del DM n. 264 sia proprio quello di offrire agli operatori una “guida” dettagliata di tutti i punti che è necessario provare al fine di ritenere che un residuo di produzione soddisfi i requisiti di cui all’art. 184-bis, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006

[5] A tal fine si evidenzia come potranno essere compilati anche in un momento successivo rispetto alla produzione del residuo i campi: «Impianto o attività di destinazione» e «Riferimenti di eventuali intermediari». Il campo «Conformità del sottoprodotto rispetto all’impiego previsto» andrà, invece, riempito per dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 184-bis, comma 1, lett. c) –caratteristica di “utilizzo diretto, senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale” – e lett. d) – caratteristica di “legalità dell’utilizzo”. In particolare, in tale campo andranno descritti trattamenti eventualmente necessari al fine dell’impiego, nonché la dimostrazione della non estraneità dei medesimi rispetto alla “normale pratica industriale”.

[6] La Circolare precisa che essi sono: i) «Descrizione e caratteristiche del processo di produzione»; ii) «Indicazione dei materiali in uscita dal processo di produzione»; iii) «Tipologia e caratteristiche del sottoprodotto e modalità di produzione». Ai fini di dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 184-bis, comma 1, lett. b) – caratteristica di “certezza dell’utilizzo” – devono, invece, necessariamente essere riempiti i campi: i) «Tipologie di attività o impianti di utilizzo idonei ad utilizzare il residuo»; ii) «Modalità di raccolta e deposito del sottoprodotto»; iii) «Indicazione del luogo e delle caratteristiche del deposito e di eventuali depositi intermedi»; iv) «Tempo massimo previsto per il deposito, a partire dalla produzione fino all’impiego definitivo»; v) «Descrizione delle tempistiche e delle modalità di gestione finalizzate ad assicurare l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto».

[7] Tale Allegato viene composto da varie parti. Oltre alla premessa e all’indicazione dello scopo del DM 264/16 (paragrafo 1 e 2), vengono riportati: 3. Effetti giuridici – 4. Onere della prova e responsabilità – 5. Documentazione contrattuale e scheda tecnica – 6. Dimostrazione della natura di sottoprodotto – 6.1. Premessa – 6.2. Origine del residuo da un processo di produzione il cui scopo primario è diverso dalla produzione dello stesso – 6.3. Certezza dell’utilizzo – 6.4. Utilizzo diretto senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale 6.5. Legalità dell’utilizzo 7. Deposito e movimentazione – 8. Controlli e ispezioni – 9. Piattaforma di scambio tra domanda e offerta ed elenco dei sottoprodotti – 10. Impiego di biomasse destinate ad uso energetico.

Ultime news