Consiglio di Stato sulla cessazione della qualifica di rifiuto

Con una sentenza, la n. 1129 del 28 febbraio il Consiglio di Stato si esprime sul tema della cessazione della qualifica di rifiuto (“End of Waste”), e pone in grave pericolo la corretta prosecuzione delle attività di gestione, con particolare riferimento alla possibilità di pregiudicare il recupero e la successiva commercializzazione dei rifiuti. Il contenuto della sentenza.

Che cosa significa End Of Waste?

Il testo unico ambientale (D.Lgs. n. 152/2006, c.d. “TUA”), consente la cessazione della qualifica di rifiuto per una sostanza od oggetto qualificato come tale ed esposto ad operazione di recupero come materia (c.d. “riciclaggio”) ed anche la “preparazione per il riutilizzo”, nel rispetto di talune condizioni:

  • la sostanza o l’oggetto viene comunemente utilizzato per scopi specifici;
  • esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
  • la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  • l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Tale operazione può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.

Rilevante rimane la precisazione del Legislatore in merito all’adozione dei suddetti criteri: essi vengono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente, e possono includere, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto[1].

Il contenuto della sentenza

Proprio in merito a quest’ultimo aspetto è intervenuto il Consiglio di Stato con sentenza n. 1129 del 28 Febbraio. 2018.

Con essa il Giudice di appello veniva chiamato a valutare il caso di un’impresa che era già stata autorizzata ad una attività sperimentale per il trattamento ed il recupero dei rifiuti costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni, alla quale la Giunta regionale Veneto ha poi respinto la richiesta di qualificare le attività svolte nel proprio impianto industriale, come attività di recupero “R3”, poiché, per tali materiali, la normativa comunitaria al momento non lo prevede.

Il giudice di primo grado (Tar Veneto, sentenza n. 1422 del 2016) aveva accolto il ricorso dell’impresa e conseguentemente annullato il diniego, ritenendo che in mancanza di espresse previsioni comunitarie, l’amministrazione potesse valutare caso per caso.

Al contrario il Consiglio di Stato, riprendendo il contenuto dell’art. 6 della c.d. Direttiva “Quadro” sui rifiuti (la n. 2008/98/CE del 19 novembre 2008), riguardante la “cessazione della qualifica di rifiuto” che:

  • la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria;
  • quest’ultima ha previsto che sia comunque possibile per gli Stati membri valutare altri casi di possibile cessazione;
  • tale prerogativa tuttavia compete allo Stato e precisamente al Ministero dell’Ambiente, che deve provvedere con propri regolamenti.

Cisambiente: “Rischio di paralisi del sistema”.

In merito alla prescrizioni del Consiglio di Stato, Cisambiente ribadisce: “Con la Sentenza n. 1129 dello scorso 28 Febbraio 2018 si mette al rischio l’attività imprenditoriale delle imprese del settore dei servizi di igiene ambientale. Cisambiente denuncia un rischio di paralisi dell’intero comparto del settore della gestione integrata del rifiuto, e, nello specifico, di quello che si interessa dell’attività di recupero e successiva immissione sul mercato di quanto riciclato oppure preparato per il riutilzzo: le nostre imprese, con il pronunciamento del Consiglio di Stato, sono costrette a rallentare fortemente lo svolgimento delle proprie attività imprenditoriali”.

Inoltre: “Lasciando allo Stato la possibilità di legiferare su quali debbano essere le tipologie di rifiuti e la correlata scelta dei criteri per l’individuazione della cessazione della qualità del rifiuto, si impedisce alle imprese operative nel recupero del rifiuto di rendere concreti i principi della Circular Economy che, la stessa Comunità europea,  sta cercando di implementare, anche attraverso l’opportuna riforma delle Direttive comunitarie sui rifiuti”.

Cisambiente pone in evidenza ulteriori conseguenze negative legate alla pubblicazione della Sentenza: “Qualora sia chiamato lo Stato a decidere in merito, e non anche altri livelli della pubblica amministrazione, si rallenta la pratica della concessione delle autorizzazioni relative alle operazioni di recupero per ciascun singolo flusso di rifiuto, finalizzata alla cessazione della qualifica, che non siano già contemplate da criteri “end of waste” stabiliti a livello nazionali oppure comunitari, oppure fissate, per le sole operazioni di recupero dei “non pericolosi” in regime semplificato, da un remoto Decreto del Ministero dell’Ambiente, datato 5 Febbraio 1998. Così prescrivendo, le Regioni non potranno più stabilire, per tramite di autorizzazione ordinaria, quando il riciclo può dirsi completato, e impedire, di fatto, le attività di commercializzazione del materiale recuperato. Allo stesso tempo, si ritiene il suddetto Decreto ministeriale incapace di offrire adeguate garanzie alle nostre imprese, in quanto disciplina una realtà da tempo superata, in termini di standard tecnici, insieme delle tipologie di rifiuti interessate, capacità operative e attività: nella incertezza di poter vedere autorizzato un ciclo di recupero tecnologicamente avanzato le imprese di Cisambiente sono, di fatto, scoraggiate nell’effettuare investimento alcuno in nuove tecnologie, e questo impedisce di realizzare una vera e propria green economy”. Conclude infine sottolineando come “a monte si possano presentare serie difficoltà per garantire l’igiene pubblica e la salvaguardia dell’ambiente, proprio legate alla impossibilità di reimmettere nel circuito economico i rifiuti recuperati e sovraccaricando gli impianti stessi adibiti a tale funzione”.

[1] Inoltre, con l’art. 184-ter, c.3 si precisa che “nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione”. Inoltre, con il c.4, si precisa che “un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo e’ da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti. Ed anche, con il c.5, che “la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.

Ultime news