Lo scorso 19 aprile 2018, nell’ambito della Conferenza delle Regioni, è stato approvato un ordine del giorno con il quale le Regioni chiedono al Governo di intervenire in via legislativa per consentire espressamente le autorizzazioni “caso per caso” per il recupero di materia dai rifiuti. La questione era stata sollevata con una sentenza, la n. 01229/2018 del Consiglio di Stato, pubblicata lo scorso 28 febbraio 2018, con la quale i Giudici amministrativi hanno avuto modo di affermare che lo strumento di derivazione comunitaria, noto come “End of Waste”, può essere fatto valere solamente se trova applicazione all’interno di Regolamenti europei o Decreti nazionali.
Gli impatti della Sentenza n. 1229 e la situazione attuale
Ritorniamo sulla questione della Sentenza n. 1229 del Consiglio di Stato, pubblicata lo scorso 28 febbraio 2018, con la quale i Giudici amministrativi hanno avuto modo di affermare che lo strumento di derivazione comunitaria, noto come “End of Waste”, può essere fatto valere solamente se trova applicazione all’interno di Regolamenti europei o Decreti nazionali.
La vicenda giudiziaria
Come ricorderete, tutta la vicenda era stata originata dalla procedura di recupero attivata da un Azienda della Regione Veneto, già autorizzata all’esercizio di una attività sperimentale (sulla scorta delle prescrizioni contenute nell’art. 211 del D. Lgs. n.152 del 2006, c.d. “TUA”) per il trattamento ed il recupero dei rifiuti costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni, alla quale la Giunta regionale del Veneto ha poi respinto la richiesta di qualificare le attività svolte nel proprio impianto industriale come attività di recupero “R3”, poiché, per tali materiali, la normativa comunitaria, come anche quella nazionale, al momento non lo prevede.
Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso dell’impresa e conseguentemente annullato il diniego, ritenendo che in mancanza di espresse previsioni comunitarie, l’amministrazione potesse valutare caso per caso.
La Regione Veneto si è, dunque, appellata al Consiglio di Stato che, come anticipato in precedenza, ha accolto il ricorso stabilendo, tra l’altro, che “è del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regione”.
Da tale decisione si desume che, per il Consiglio di Stato, la mancanza di Regolamenti comunitari o di Decreti ministeriali relativi alle procedure di “End of Waste” non consente ad altro soggetto istituzionale di stabilire criteri per cui un rifiuto cessa di essere tale.
Infatti, “la scelta fatta dal legislatore nazionale con l’articolo 184-ter, in legittimo esercizio di potestà legislativa esclusiva, è stata quella di individuare nel regolamento ministeriale l’atto idoneo ad intervenire ai fini della declassificazione “caso per caso”.
Inoltre, sempre a giudizio del Consiglio di Stato, “non possono assumere rilevanza eventuali diverse considerazioni desumibili da circolare emanate dal Ministero dell’ambiente cui compete più propriamente l’esercizio del potere regolamentare in materia”.
La Circolare n. 10045 del 1° luglio 2016
La situazione che si è venuta a creare oggi presenta significative contraddizioni,
Infatti, prima della Sentenza del Consiglio di Stato in oggetto, il Ministero dell’ambiente con la Circolare n. 10045 del 1° luglio 2016, aveva fornito chiarimenti in merito alla cessazione della qualifica di rifiuto e, quindi, circa l’applicazione della normativa di riferimento.
In particolare, la Circolare chiariva altresì che, nelle more dell’adozione di Regolamenti “End of Waste”, il Legislatore ha previsto che, per quanto riguarda il recupero agevolato, continuano ad essere di riferimento i criteri definiti dal DM Ambiente 5 febbraio 1998, dal DM Ambiente 12 giugno 2002 n. 161 e dal DM Ambiente 17 novembre 2005 n. 269[1].
Con specifico riferimento al recupero non agevolato, l’articolo 214, comma 7 del Testo Unico Ambientale prescrive che l’autorizzazione all’esercizio in impianti “di operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi del presente articolo resta comunque sottoposta alle disposizioni di cui agli articoli 208, 209 e 211”.
La gerarchia delle fonti in merito ai criteri EoW
Pertanto si viene a creare una situazione in cui, sulla scorta di quanto stabilito con la suddetta Circolare, sarebbero tre modalità di definizione dei criteri di EoW, gerarchicamente ordinate.
I criteri di cui ai regolamenti europei prevalgono, nell’ambito del loro rispettivo campo di applicazione, sui criteri definiti con i decreti ministeriali, laddove abbiano ad oggetto le stesse tipologie di rifiuti.
Parimenti, i criteri definiti con i decreti ministeriali prevalgono, salvo uno specifico regime transitorio stabilito dal rispettivo decreto ministeriale, sui criteri che le Regioni — o gli Enti da queste delegati — definiscono in fase di autorizzazione ordinaria di impianti di recupero dei rifiuti, sempre che i rispettivi decreti ministeriali abbiano ad oggetto le medesime tipologie di rifiuti.
Sempre secondo la Circolare, le Regioni — o gli enti da queste individuati — possono, in sede di rilascio dell’autorizzazione prevista agli articoli 208, 209 e 211, e quindi anche in regime di autorizzazione integrata ambientale (Aia), definire criteri EoW previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma I dell’articolo 184-ter, rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione dei sopracitati regolamenti comunitari o decreti ministeriali, ma solo in via residuale.
Ciò premesso, la Circolare fornisce altresì un approfondimento circa gli effetti derivati dall’entrata in vigore dell’articolo 3, comma 4, del d.l. n. 91 del 2014, che ha modificato l’articolo 216 del d.lgs. n. 152 del 2006, inserendo il comma 8-sexies.
Tale comma prevede che “Gli enti e le imprese che effettuano, ai sensi delle disposizioni del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, dei regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269, e dell’articolo 9-bis del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210, operazioni di recupero di materia prima secondaria da specifiche tipologie di rifiuti alle quali sono applicabili i regolamenti di cui al comma 8-quater del presente articolo, adeguano le proprie attività alle disposizioni di cui al medesimo comma 8-quater o all’articolo 208 del presente decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti di cui al comma 8-quater. Fino alla scadenza di tale termine è autorizzata la continuazione dell’attività in essere nel rispetto delle citate disposizioni del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, dei regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio n. 161 del 2002 e n. 269 del 2005 e dell’articolo 9-bis del decreto-legge n. 172 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 210 del 2008. Restano in ogni caso ferme le quantità massime stabilite dalle norme di cui al secondo periodo.”
Sul punto, la più volte citata Circolare ministeriale chiarisce che l’entrata in vigore del nuovo comma 8-sexies dell’articolo 216, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non ha modificato né le modalità di individuazione dei criteri di cessazione della qualifica di rifiuto, né il riparto delle competenze definite all’articolo 184-ter del medesimo decreto.
Gli sviluppi
Come anticipato, il pronunciamento del Consiglio di Stato si discosta dalla citata Circolare ministeriale, soprattutto nel punto in cui questa chiarisce che risultano essere individuate tre modalità di definizione dei criteri di EoW, tra le quali rientra la possibilità di definire tali criteri all’interno della fase autorizzativa degli impianti di recupero. Tuttavia, per completezza di informazione si segnala che è in arrivo la revisione della Direttiva europea 20008/98/CE, in materia di rifiuti la quale prevede, tra l’altro, all’art. 6 nuove disposizioni in materia di End Of Waste che consentiranno agli Stati membri la possibilità di procedere con il criterio del “caso per caso”, anche sulla base di specifici criteri elencati nel nuovo testo comunitario.
[1] Ex c.4, art. 214, TUA.