Il recepimento del Pacchetto Economia Circolare approvato nel 2018 dal Parlamento Europeo (Atto 169 sulle direttive 2018/851 e 2018/850), che doveva e poteva semplicemente risolversi con l’approvazione di 2 commi (nello specifico l’8 ed il 9 inseriti nell’art.1 a modifica degli articoli 183 e 184 del D.Lgs. 152/06 che avrebbero dato così “cittadinanza italiana” all’art.3 della Direttiva 2018/851), rischia di trasformarsi in un boomerang per il sistema di riciclo e recupero “Made in Italy”, più efficiente e virtuosi di altri in Europa.
“The Italian Way” nella conduzione dei servizi e nella creazione dei circuiti di riciclo e di riuso, tanto apprezzato in Europa e nel Mondo per inventiva, efficacia ed attenzione all’ambiente, rischia di essere depresso e squalificato in sistemi e soluzioni preconfezionate, adattabili a paesi dove le filiere sono ancora agli albori o da creare.
Non convince affatto la posizione di chi vorrebbe seguire questa via per aumentare il controllo e la legalità delle filiere. Il rischio invece è proprio inverso perché, con un tratto di penna, rischiamo di cancellare aziende di recupero e riciclo che lavorano in ambito B2B con sistemi di tracciamento consolidati, e lasciare aziende produttrici di beni “orfane” di partner che valorizzavano gli scarti delle loro lavorazioni e che vedrebbero d’un tratto lievitare la propria bolletta dei rifiuti e i costi dei sistemi di gestione e stoccaggio degli stessi., senza parlare degli eventuali rischi penali in capo ai legali rappresentanti delle stesse.
Certe operazioni “verità” non si possono fare a “cuore aperto”, a “nervi scoperti”. Dopo il Lockdown e con il periodo di lunga incertezza che stiamo attraversando, le stazioni appaltanti non si sono mai fermate dal pubblicare gare in cui le richieste, e ancor peggio le basi d’asta, rispondono alle esigenze delle aziende private che cercano di rimettere insieme i pezzi delle proprie filiere di raccolta, selezione, riciclo e recupero.
“I numeri che coinvolgono la questione sono enormi” Dichiara Carlo Lusi della Sumus Italia.
“Se si pensa solo allo sfrido e scarto dell’industria della carta e cartotecnica ( codice ATECO 17), rischiamo di “annacquare” 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali di pregio (delle 30 in generale interessate da questo provvedimento nelle quali rientrano anche, ad esempio tutti gli imballaggi della componentistica del settore manifatturiero, della Grande Distribuzione Organizzata, dell’industria alimentare e così via) che costituiscono linfa vitale per le nostre esigenze produttive e di filiera.
Ma che dico rifiuti, sono le nostre materie prime seconde! Deputate a cambiare circuito e a confluire nelle responsabilità di aziende private di raccolta, socie di Confindustria Cisambiente, che però non avrebbero alcun giovamento concreto nella gestione delle stesse, anche perché il loro cliente sarebbe sempre e comunque la Pubblica Amministrazione (PA), nei confronti della quale aumenterebbe ancor di più l’esposizione finanziaria in un momento in cui il sistema non ha liquidità a causa del blocco delle TARI. E’ come se domani chiedessi a un bravo ciclista da granfondo di vincere una gara di motocross: magari sulla moto ci sa andare ma, se non si è prima allenato, rischia solo di farsi male.”
“L’assimilazione incontrollata ci riporterebbe indietro di anni e vanificherebbe anche gli sforzi delle PA, che sono passate a tariffa puntuale in chiave di promozione della riduzione della produzione dei rifiuti, e del principio Europeo del “Pay As You Throw”. Sono ben noti i casi di catene della gdo che stipulano accordi con ditte specializzate, socie di Confindustria Cisambiente, che ritirano gli imballaggi in cartone valorizzandoli economicamente, li selezionano e li rivendono a cartiere per le ricette delle nuove carte.
Ancor di più mi preoccupo per Sumus Italia che utilizza solo materie prime seconde di qualità per la creazione di sacchi e sacchetti a basso impatto ambientale, brevettati per la raccolta dell’organico, e della carta. Tra l’altro, essendo Sumus Italia certificata come catena di custodia FSC, già contribuisce a una filiera del riciclo e recupero legale con continui controlli da parte di enti terzi internazionali.
Sarebbe impossibile per noi reperire sul mercato carte riciclate con costanti caratteristiche tecniche, laddove i maceri provenienti da sfridi di lavorazione o avviamenti di macchina, di industrie del settore cartotecnico, verrebbero mischiati con il macero di imballaggio provenienti dalle raccolte domestiche, gestite oggi dalle instancabili società di raccolta del rifiuto “urbano” associate a Confindustria Cisambiente.
Questi maceri ahimè, sono meno fibrosi e più inquinati da altre frazioni estranee, e i comuni stessi non sarebbero quindi in grado di ricevere il giusto valore dalle frazioni mischiate, determinando soltanto un aumento dei costi delle stesse Tari delle aziende che devono gestire gli sfridi e, contemporaneamente, cancellando il circuito dell’intermediazione e selezione del macero di valore. Lo stesso dicasi per le altre frazioni: la deprofessionalizzazione delle filiere e il serio pericolo di inquinamento dei diversi circuiti di raccolta selettiva, potrebbero diventare fertile terreno per faccendieri e criminalità organizzata”.