E’ entrato in vigore il 6 Giugno il DM Ambiente del 20 Aprile con cui vengono stabiliti sia i criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti dalle utenze al servizio pubblico, sia i criteri inerenti i sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio in funzione del servizio reso, al fine di attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell’Unione europea. Molte le novità contenute che interessano gli Enti locali e gli Operatori del settore.
Le premesse
Prima di esporre la questione dei criteri inerenti la realizzazione di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo effettiva del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso che entrerà in vigore il prossimo 6 Giugno, è opportuno ripercorrere l’iter procedurale con cui è si è giunti alla definizione dell’atto.
La questione rappresenta un tema nell’agenda del Legislatore, sin dal lontano 1997. Era infatti previsto dall’originario decreto Ronchi che venisse predisposto un atto normativo a tal fine; in risposta, il Legislatore emanò un Regolamento dedicato sul punto, il DPR n. 158 del 27 Aprile 1999 (“recante Regolamento recante norme per l’elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”).
In tempi recenti, con la Legge di Stabilità 2014[1], è stato prescritto che:
- entro un anno dovesse essere emanato un DM Ambiente[2] che definisse i “criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell’Unione europea”, nell’ottica di dare attuazione al principio “chi inquina paga”[3].
- i Comuni potessero, mediante regolamento dell’entrata, applicare agli utenti del servizio di igiene urbana una tariffa puntuale, qualora avessero già realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico[4],
- la misurazione puntuale della quantità di rifiuti dovesse essere finalizzata ad attuare un modello di tariffa avente natura corrispettiva[5].
Il contenuto del DM
Ricordato che, così come specificato nelle premesse all’atto, il Legislatore, con il DM 20 Aprile, considera:
- la tariffa commisurata al servizio reso tra gli strumenti economici più efficaci per l’attuazione della c.d. “gerarchia dei rifiuti”[6];
- la determinazione puntuale della quantità dei rifiuti prodotti dalle singole utenze permette di rafforzare il principio «chi inquina paga» nella gestione dei rifiuti urbani;
Analizziamo il contenuto del Decreto, cercando di evidenziarne i punti salienti.
Le definizioni
Innanzitutto il DM introduce (art. 2) talune definizioni, riguardanti la gestione dei rifiuti, che integrano quelle già introdotte nel Testo Unico Ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) e rappresentano una novità assoluta, con riferimento a quelle di:
Termine | Significato |
Rifiuto urbano residuo(“RUR”) | Il rifiuto residuale dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati (CER 200301)” |
Utente | La persona fisica o giuridica che possiede o detiene, a qualsiasi titolo, una o più utenze |
Utenza | L’unità immobiliare, il locale oppure l’area scoperta operative, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e/o assimilati e riferibili, a qualsiasi titolo, ad una persona fisica o giuridica ovvero ad un «utente |
Utenza aggregata | Punto di conferimento riservato a due o più utenze per le quali non sia possibile la misura della quantità conferita da ciascuna utenza |
La procedura di identificazione delle utenze del servizio di igiene urbana
Successivamente, all’art. 3, viene formalizzata la procedura di identificazione delle utenze, nonché quella di trattamento[7] e conservazione dei dati[8], essenziale ai fini della tariffazione puntuale: in particolare la prima (c.1) avverrà mediante l’assegnazione di un codice personale ed univoco a ciascuna utenza, secondo taluni requisiti minimi dei sistemi di identificazione e misurazione puntuale della quantità di rifiuto (art. 5):
- L’identificazione dell’utenza a cui è associata la misurazione puntuale della quantità di rifiuto avviene in modalità diretta e univoca, alternativamente attraverso:
- idonei dispositivi elettronici di controllo integrati nel contenitore o nel sacco con cui il rifiuto è conferito;
- mediante idonee attrezzature installate in appositi punti di conferimento quali ad esempio i contenitori con limitatore volumetrico.
Il riconoscimento avviene alternativamente:
- mediante il codice utenza,
- attraverso altre modalità di univoca identificazione che permettano di risalire al codice utenza anche attraverso ad esempio il codice fiscale dell’utente titolare dell’utenza e dei suoi familiari conviventi (c.1).
- I sistemi di misurazione puntuale devono consentire di:
- Identificare l’utenza che conferisce mediante un codice univocamente associato a tale utenza oppure attraverso l’identificazione dell’utente che effettua i conferimenti;
- registrare il numero dei conferimenti attraverso la rilevazione delle esposizioni dei contenitori o dei sacchi oppure del conferimento diretto in contenitori ad apertura controllata a volume limitato o degli accessi nei centri comunali di raccolta effettuati da ciascuna utenza. I dispositivi e le modalità organizzative adottate devono garantire la registrazione di ciascun singolo conferimento, associato all’identificativo dell’utenza o del contenitore, con indicazione del momento del prelievo;
- Misurare la quantità di rifiuti conferiti, attraverso metodi di pesatura diretta o indiretta.
Le modalità di pesatura del rifiuto
In particolare la pesatura (art. 6, c.1) avviene:
- direttamente con rilevazione del peso;
- indirettamente, tramite la rilevazione del volume dei rifiuti conferiti da ciascuna utenza, il quale viene determinato dalle dimensioni del contenitore esposto dall’utente o dalla capacità del sacco conferito ovvero ritirato dall’utente oppure dalla dimensione dell’apertura di conferimento dei contenitori con limitatore volumetrico (art. 6, c.3)[9].
Essa può essere effettuata secondo quattro modalità:
- a bordo dell’automezzo che svolge la raccolta, attraverso l’identificazione del contenitore o del sacco;
- da un dispositivo in dotazione all’operatore addetto alla raccolta attraverso l’identificazione del contenitore o del sacco;
- integrata nel contenitore adibito alla raccolta;
- effettuata presso un centro di raccolta.
Nei casi di pesatura diretta (art. 6, c.2), la quantità di rifiuti, per frazione di rifiuto oggetto di misurazione prodotta dalla singola utenza (RIFut), è calcolata come sommatoria delle registrazioni del peso conferito (PESconf) per ciascuna utenza espresso in chilogrammi. Pertanto, la quantità di rifiuto di riferimento per utenza (RIFut) è determinata dalla formula: RiFut = ΣPESconf.
Il Legislatore puntualizza inoltre anche i criteri per la realizzazione di sistemi per la misurazione puntuale della quantità di rifiuti (art. 4), che devono avvenire nelle modalità sopra esposte (art. 6). In particolare:
- La misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti si ottiene determinando, come requisito minimo, il peso o il volume della quantità di RUR conferito da ciascuna utenza al servizio pubblico di gestione dei rifiuti (c.1)[10];
- Possono altresì essere misurate le quantità di altre frazioni o flussi di rifiuto oggetto di raccolta differenziata, ivi compresi i conferimenti effettuati dagli utenti presso i centri di raccolta comunali (c2.).
Spetta chiaramente al Comune (art. 6, c.5), il compiti di stabilire, per ciascun periodo di riferimento e per ciascuna frazione di rifiuto, il coefficiente di peso specifico (Kpeso) in base alla densità media dello specifico flusso di rifiuto, determinata come rapporto tra la quantità totale di rifiuti raccolti e la volumetria totale contabilizzata.
Si precisa che (art. 6, c.6), in sede di prima applicazione, se non sono disponibili dati storici appropriati, il coefficiente di peso specifico può essere ricavato da idonei rapporti di prova eseguiti su campioni di rifiuti di volume predefinito.
Cosa avviene in caso di contemporanea presenza di sistemi di pesatura diretta e indiretta?
Il legislatore contempla anche il caso di contemporanea presenza di sistemi di pesatura diretta e indiretta per la medesima frazione di rifiuto (art. 6, c.7): in tal caso la relativa quantità di rifiuti conferita dalla singola utenza (RIFut), è individuata mediante sommatoria dei quantitativi totali derivanti dalle singole modalità di misurazione.
Ad ogni modo, sia nel caso di pesatura diretta che di pesatura indiretta le dotazioni elettroniche, i contenitori nonché gli strumenti di pesatura devono rispettare tutti gli standard tecnici applicabili, fermo restando quanto previsto in materia di protezione dei dati personali e di gestione informatizzata degli stessi (art. 6, c.8) dal medesimo Decreto (art. 4).
Cosa avviene nel caso in cui non possa essere “suddiviso” il punto di conferimento tra le diverse utenze?
Il Legislatore contempla altresì il caso in cui non sia possibile sotto un profilo tecnico e/o economico suddividere il punto di conferimento tra le diverse utenze, ai fini dell’applicazione della misurazione puntuale del peso del rifiuto.
In tal caso (art. 7, “Determinazione dei conferimenti nel caso di utenze aggregate domestiche”), le quantità o i volumi di rifiuto attribuiti ad una utenza aggregata sono ripartiti tra le singole utenze secondo il criterio pro capite, in funzione del numero di componenti del nucleo familiare riferito all’utenza (c.1).
Tale ripartizione (art. 7, c.2) può avvenire utilizzando appositi coefficienti riportati nell’atto nel DPR n. 158/1999 (ovvero quello che riporta, al suo interno, il c.d. “metodo normalizzato”, che viene può essere adottato dagli Enti locali per la definizione della tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani)[11].
Cosa avviene nel caso in cui, nelle utenze aggregate, sia conferito rifiuto residuo sia da utenti domestiche che non domestici?
E’ possibile che un punto di conferimento del rifiuto residuo interessi contemporaneamente le due possibili categorie di utenze interessate dal servizio di igiene urbana (domestiche e non, cittadini ed imprese).
Allora, nel qual caso (art. 8, “Determinazione dei conferimenti di utenze non domestiche all’interno di utenze aggregate”), in base al c.1., il “rifiuto residuo” proveniente dalle utenze non domestiche presenti in utenze aggregate deve essere conferito in maniera separata rispetto a quello conferito dalle utenze domestiche.
Qualora ciò non avvenga il Comune deve utilizzare alternativamente (c.2):
- i coefficienti di produttività per ciascuna tipologia di utenza non domestica indicati sempre nel DPR 158/1999[12]
- i coefficienti di distribuzione ottenuti mediante appositi studi effettuati a livello locale
- i coefficienti ottenuti dalla rilevazione della distribuzione dei conferimenti e delle quantità tipici del territorio di riferimento
I criteri integrativi ai sistemi di misurazione puntuale
Interessante la prescrizione di cui all’art. 9 (Criteri integrativi ai sistemi di misurazione puntuale), secondo la quale, al momento in cui è definita la componente variabile della tariffa (c.1), il Comune può adottare criteri di ripartizione dei costi commisurati a seguenti fattori:
- qualità del servizio reso alla singola utenza;
- numero dei servizi messi a disposizione della medesima, anche quando questa non li utilizzi.
Il Legislatore precisa che (c.2) le frazioni avviate al riciclaggio devono dare luogo a correttivi ai criteri di ripartizione dei costi. In tali casi, l’utenza per la quale è stato svolto il servizio di ritiro è identificata ovvero è registrato il numero dei conferimenti ai centri comunali di raccolta, effettuato dalla singola utenza, di frazioni di rifiuto avviate al riciclaggio.
Infine si precisa che (art. 10, “Norme transitorie”), i Comuni che hanno già applicato una misurazione puntuale della parte variabile della tariffa, adeguano le proprie disposizioni regolamentari alle prescrizioni del presente decreto entro due anni dall’entrata in vigore del DM Ambiente in esame.
[1] Legge 27 dicembre 2013, n. 147, ed in particolare l’art. 1, c. 667, come modificato dall’art. 42, comma 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (c.d. Legge sulla “Green Economy”).
[2] Ed in particolare un atto normativo del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
[3] Sancito dall’art. 14 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008.
[4] In base all’art. 1, c. 668, della suddetta Legge di Stabilità 2014, si prescrive che «i comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, con regolamento di cui all’art. 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, prevedere l’applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo della TARI”.
[5] In base al combinato disposto dei commi 668 e 688, dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013.
[6] V. art. 179 del D.Lgs n. 152 del 3 aprile 2006.
[7] Con il c.2 si prescrive che “Il trattamento, la gestione e la conservazione dei dati personali devono avvenire nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 30 aprile 2003, n. 196, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali»”.
[8] Con il c.3 viene richiesto che “le infrastrutture informatiche di rilevazione, misurazione, elaborazione, gestione, aggiornamento e conservazione dei dati devono essere strutturate per garantire l’esattezza, la disponibilità, l’accessibilità, l’integrità, l’inalterabilità e la riservatezza dei dati dei sistemi e delle infrastrutture stesse, nel pieno rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, per permetterne l’utilizzo facilitato, il riutilizzo e la ridistribuzione, come definito dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, per un congruo periodo di conservazione e devono essere soggette a standard di sicurezza certificati”.
[9] In tal caso, secondo l’art. 6, c.4, la quantità di rifiuto per le frazioni di riferimento, prodotta dall’utenza (RIFut), può essere calcolata anche come sommatoria del prodotto del volume espresso in litri del contenitore conferito per lo svuotamento, o del sacco ritirato o del volume accessibile nel caso di contenitore con limitatore volumetrico, moltiplicato per il coefficiente di peso specifico (Kpeso). Pertanto, la quantità di rifiuto di riferimento per utenza (RIFut) è determinata come: RIFut = ΣVOLcont*Kpeso.
[10] Al c. 4 dell’art. 4, il DM precisa che “per la misurazione di frazioni o flussi di rifiuti conferiti diversi da quelli previsti al precedente comma 1, sono ammessi sistemi semplificati di determinazione delle quantità conferite”.
[11] In particolare alla tabella 2, recante «Coefficienti per l’attribuzione della parte variabile della tariffa alle utenze domestiche», di cui all’allegato 1, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158. In particolare, secondo il successivo c. 3 dell’art. 7, “l’uso dei parametri di cui al comma 2 è ammesso anche per quelle porzioni di territorio in cui, per ragioni tecniche o di dispersione territoriale o di sostenibilità economica, non sia possibile implementare sistemi di misurazione puntuale”.
[12] Ed in particolare indicati nelle tabelle 4a e 4b, «Intervalli di produzione kg/m² anno per l’attribuzione della parte variabile della tariffa alle utenze non domestiche», di cui all’allegato 1 del DPR 158/1999.