Pubblicato in gazzetta ufficiale il Decreto del Ministero dell’Ambiente che fissa quali debbono essere i criteri, soddisfatti i quali, alcuni flussi di rifiuti, con riferimento alle plastiche eterogenee a base di poliolefine, il SAP e la cellulosa derivanti dal recupero di rifiuti di prodotti assorbenti per la persona (PAP), cessano di essere qualificati come rifiuto. Vediamo le principali evidenze dell’atto.
Il pomo della discordia
Era il 7 febbraio del 2018 quando la Giunta Regionale del Veneto, con una delibera (la n. 170) approvava i gli indirizzi operativi per la definizione dei criteri “caso per caso” relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto (ex art. 184-ter, D.Lgs. n. 152/2006), ovvero quelli che consentono di stabilire se un materiale o una sostanza, qualificata come tale, cessa di essere rifiuto e diviene materia prima seconda (c.d. “end of waste”).
L’atto conteneva importantissime indicazioni, perché forniva chiare indicazioni agli operatori in merito al successo delle rispettive operazioni di trattamento, con riferimento alle indicazioni tecniche per l’espletamento dell’iter amministrativo utile per “ottenere” un prodotto, in grado di essere commercializzato sul territorio regionale ed oltre[1].
L’organo regionale aveva provveduto ad emanare l’atto con l’obiettivo di risolvere una spinosa questione, quella riguardante una nota azienda del Veneto, cui la stessa Regione aveva proibito, nel recente passato, l’effettuazione di un’attività di recupero di materia dai prodotti assorbenti, seguendo processi di natura sperimentale[2].
La sentenza del Consiglio di Stato: stop al “caso per caso”
Senonché, proprio a seguito di questa vicenda, mediante la nota sentenza del 28 Febbraio 2018 (la n. 1229, Quarta Sezione), il Consiglio di Stato è intervenuto, prescrivendo che ciascuna Regione non avrebbe potuto stabilire, “caso per caso”, se un’operazione di recupero, autorizzata con regime ordinario (ex. art. 208, TUA) poteva consentire lo svolgimento di operazioni che si concludevano con la cessazione della qualità di rifiuto, mentre per le autorizzazioni in regime “semplificato”, il riferimento normativo veniva costituito dal DM 5 Febbraio 1998 (per i non pericolosi) e dal DM n.161/2002 (per i pericolosi), con tutto quello che comportava, a livello di implementazione dei processi produttivi, individuare una “cornice” ormai superata per il rilascio delle stesse, per via del progresso tecnologico e scientifico.
La sentenza, di fatto, generava forti dubbi tra i recuperatori: lo svolgimento dell’attività professionale autorizzata, determina una materia prima seconda oppure il materiale trattato rimane un rifiuto, con tutto ciò che ne consegue?
Tutto ciò premesso, la normativa sul punto veniva quindi ad essere costituita, a livello nazionale e per la sussidiarietà delle fonti del diritto, dai regolamenti comunitari (su rottami di metalli, rame e vetro) e quelli interni emanati dal Ministero dell’Ambiente(MATTM) (sul CSS-C e sul c.d. “fresato d’asfalto”).
Il Consiglio di Stato infatti, rifacendosi alla c.d. Direttiva Quadro sui rifiuti (ed in particolare all’art. 6 della 2008/98/Ce), attribuiva la potestà di valutazione “caso per caso” unicamente allo Stato[3].
Il regolamento “eow pannolini”
E veniamo ai giorni nostri. La sentenza, purtroppo, ha creato un rilevante blocco non solamente nel settore del trattamento, messo in difficoltà da una normativa di riferimento troppo ambigua per fornire, come sopra sottolineato, la certezza del successo dell’operazione del trattamento, oltreché bloccare, per quanto spiegato, il rilascio delle c.d. “autorizzazioni ordinarie” (frenando, di fatto, la libera iniziativa privata), ma anche del settore manifatturiero in generale, che può trarre enormi vantaggi da una materia prima a basso costo come il rifiuto recuperato.
Il Ministro Costa ha firmato, pochi giorni orsono il DM n. 62 del 15 maggio 2019, pubblicato nella serie generale della Gazzetta Ufficiale n. 158 dell’8 luglio[4], con cui si chiude la vicenda, mediante l’emanazione del terzo regolamento “eow” in Italia, avente ad oggetto proprio i criteri specifici nel rispetto dei quali le plastiche eterogenee a base di poliolefine, il SAP e la cellulosa derivanti dal recupero di rifiuti di prodotti assorbenti per la persona (PAP), cessano di essere qualificati come rifiuto.
Quali sono i criteri?
Innanzitutto, per ottenere tale status i materiali, appena sopra elencati, risultano conformi ai requisiti tecnici generali di cui all’allegato 1 e ai rispettivi requisiti tecnici specifici di cui agli allegati 2, 3 e 4 del regolamento, il cui rispetto è attestato dal produttore tramite dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
Inoltre, così come da indicazione della normativa primaria, devono essere utilizzabili esclusivamente per taluni scopi specifici, e questi sono elencati nell’atto[5].
Poi il produttore deve conservare, per cinque anni, un campione di materiale riciclato prelevato da ciascun lotto. Sono esentate dalla conservazione dei campioni le imprese registrate ai sensi del regolamento EMAS o in possesso della certificazione ambientale UNI EN ISO 14001: questo per consentire la verifica del rispetto dei criteri tecnici.
Regime transitorio
Il Decreto disciplina alcuni aspetti che riguardano il regime transitorio.
Infatti il produttore, entro 120 giorni dal 23 luglio (ovvero la data di entrata in vigore dello stesso), presenta all’autorità competente un aggiornamento della comunicazione effettuata[6].
[1] Non tutti i progetti di recupero vengono valutati e autorizzati dalla Regione ma, a seconda dei casi, vengono chiamate ad effettuarlo anche Province oppure Città metropolitane. Tali indirizzi interessano stabiliscono l’iter procedurale contenute nel documento vanno dai parametri per la valutazione della qualità dei rifiuti in ingresso nell’impianto ai requisiti della documentazione da presentare all’ente competente al rilascio dell’autorizzazioni, con l’obiettivo di verificare, nel complesso se, una volta recuperato il rifiuto è in grado effettivamente di sostituire sul mercato la materia prima.
[2] Era il 16 agosto del 2016 quando la stessa Regione Veneto negò l’autorizzazione ordinaria al riciclo all’impianto sperimentale di recupero materia dai prodotti assorbenti costruito da un noto consorzio del Veneto assieme ad un partner, così come giudicato dagli addetti ai lavori, avente delle particolarità tali da renderlo unico al mondo nel suo genere.
[3] La sentenza del Consiglio contrastava il contenuto di una nota emanata dal MATTM, che risale a tre anni fa (1° luglio 2016), con la quale veniva puntualizzata proprio la gerarchia delle fonti, che ordinava le medesime a partire dai regolamenti Ue, passando dai decreti nazionali, per concludersi alle autorizzazioni rilasciate dalle Regioni.
[4] Per consultare il provvedimento, cliccare qui.
[5] V. Allegato 5, DM Ambiente n. 62/2019.
[6] La c.d. “comunicazione di inizio attività”, effettuata secondo le prescrizioni contenute nel TUA (D.Lgs. . 152/2006, art. 216), oppure a seguito di una istanza di aggiornamento dell’autorizzazione (v. Capo IV, Titolo I, Parte IV), oppure secondo le indicazioni contenute nel Titolo III-bis del TUA (a seconda, quindi, del tipo di attività svolta).